15 Dic Distruzione e valorizzazione dei centri storici in Irpinia
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Distruzione e valorizzazione dei centri storici in Irpinia
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di Angelo Verderosa
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Testo pubblicato originariamente su “Civiltà Altirpina” lug.-dic. 1990, Anno I fasc. 2, con il titolo “Legge 219 / 81 ovvero la distruzione dei centri storici”.
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Testo revisionato di recente, segue.
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Nell’area del cratere altirpino si è recuperato pochissimo degli antichi insediamenti; a Lioni, a Teora, a Calabritto, a Torella, a S.Mango, per esempio, tranne pochi monumenti, assolutamente niente altro: alle demolizioni indiscriminate dei demag tedeschi e della cosiddetta emergenza si sono aggiunte quelle progettuali, contenute negli strumenti urbanistici e legalizzate dalla legge speciale n°219 del 1981. Conseguenza di una miopia amministrativa generalizzata: ignorando il valore delle preesistenze e nell’enfasi del consumo finanziato si è annientato un patrimonio storico architettonico di elevato valore culturale e ambientale.
La distruzione avvenuta e la cancellazione di ogni segno della civiltà altirpina, nella attuale fase di riscoperta dell’entroterra appenninico campano (P.O.R. e piani di marketing territoriale), penalizzano ancora una volta il rilancio del nostro territorio.
Proverò a raccontare come al disastro naturale sia subentrata la distruzione legalizzata; risiedevo a Lioni, studente della Facoltà di Architettura di Napoli, dal 1980 al 1986.
Il ventipercento
La legge 219 ha premiato la demolizione-ricostruzione ex-novo a discapito del recupero e del restauro: si è distrutto il patrimonio preesistente mediante un incentivo economico-legislativo; i cittadini che intendevano recuperare, riparare, la propria abitazione, venivano penalizzati con una decurtazione del 20% sul buono-contributo, rispetto ai cittadini che demolivano e ricostruivano.
Potendo ottenere contributi economici per il cosiddetto adeguamento abitativo in funzione del nucleo familiare, superfici non residenziali e autorimesse, si è dato il via ad una sistematica distruzione dei centri storici.
Un meccanismo perverso: facendo quattro conti, i possessori di immobili danneggiati dal sisma, con un incentivo economico (20% in più) a demolire e con la prospettiva di maggiori superfici abitabili e autorimesse, abbandonavano i centri storici sperando in condizioni di vita migliori nelle villette dei cosiddetti piani di zona; fra le alternative, potevano utilizzare il buono-contributo per acquistare una nuova casa nell’ambito della provincia di residenza!
Conza della Campania e Bisaccia sono l’emblema di questo inganno collettivo: interi centri abitati, trasferiti a chilometri di distanza; hanno visto raddoppiare i volumi edilizi e decuplicati gli spazi urbani preesistenti.
La legge 187/82, modificando la 219/81, ridusse ulteriormente i poteri delle Soprintendenze, impegnate (e isolate) attivamente nella salvaguardia del patrimonio storico-architettonico; potevano esprimere vincoli sugli edifici vincolati ai sensi della L.1089/39 e non sul patrimonio minore, privato.
Motivazioni di ordine politico e amministrativo, di fatto culturali, sono state alla base di queste legislazioni di distruzione: nel caos post-sismico si sono saccheggiate città antiche e teorie del restauro; si è saccheggiato il buon senso … per un ventipercento in più!
Le ristrutturazioni urbanistiche
L’incentivo ad abbandonare i centri storici per trasferirsi nei piani di zona innescò un altro perverso fenomeno; i pochi cittadini che decidevano di restare, mediante i meccanismi legislativi citati, di fatto avevano anch’essi diritto ad ampliare superfici e volumi edilizi; magari ai lati o al disopra delle proprie particelle catastali; iniziarono ad affermarsi nei piani di recupero, fino a prevalere in modo assoluto, almeno a Lioni, Teora, Calabritto, Caposele, le ristrutturazioni urbanistiche; strumento di attuazione del piano di recupero, di fatto piani di nuova edilizia.
Dove erano complesse articolazioni morfologiche e tipologiche, espressione di distinte proprietà catastali, si procedeva alla cancellazione di ogni traccia preesistente e ad un ridisegno di allineamenti e sagome; refusione delle particelle catastali e ridistribuzione delle superfici abitative interpretavano ancora la 219.
La quasi totalità dei comparti edilizi, oggetto di ristrutturazione urbanistica, sono rimasti fermi per lunghi anni sia per le inevitabili litigiosità sorte fra i condomini all’interno di ogni comparto che per i limiti normativi propri del P.d.R.; là dove si cercava di migliorare le condizioni di vivibilità all’intorno e all’interno dei comparti (ad esempio con l’apertura di nuove luci), i comuni si trovavano nell’impossibilità di operare, dovendo procedere con espropri, ma non di pubblica utilità (i comparti restavano un insieme di proprietà private); altro esempio emblematico della complessità di attuazione delle ristrutturazioni urbanistiche affidate ai privati è derivato dalla inadempienza a ricostruire seppur di un singolo condomino: è facile pensare all’intervento e alla sostituzione forzata da parte del Comune; di fatto non si riusciva a procedere.
Prime conclusioni sulle ristrutturazioni urbanistiche le ha tratte il Comune di Lioni alla luce delle pregresse esperienze: lo storico quartiere “Fontana Vecchia” è stato recuperato attraverso un piano particolareggiato che si è avvalso dei disposti normativi dei P.d.Z.: esproprio e riassegnazione delle superfici edificabili (in verticale); si è adottata una tipologia di case a schiera su due o tre livelli, a due fronti, evitando la fase dell’accordo fra condomini; si sono velocizzate le operazioni di assegnazione delle proprietà e conseguito una maggiore cura nelle soluzioni architettoniche; il disegno dei comparti edilizi ha generato spazi urbani, pedonalizzati, che favoriscono l’aggregazione e l’incontro sociale degli abitanti del quartiere.
I volumi raddoppiati
Al termine del processo di ricostruzione ci ritroviamo con una moltiplicazione dei volumi abitativi; sono stati sostituiti i centri storici e costruiti i piani di zona, nuove periferie.
Senza timore di smentite si può affermare che, nell’area del cratere, i volumi edilizi sono mediamente raddoppiati rispetto al 1980; le superfici urbanizzate sono più che decuplicate.
Conza della Campania, sul colle storico, misurava 120×150 ml.; il paese ricostruito a valle misura 1000×1500 ml. (con un terzo di abitanti in meno)!
Così Bisaccia … così Lioni, Senerchia, Morra, Castelfranci, Cassano.
Un senso di non-finito caratterizza quello che rimane dei vecchi centri, ancor più le nuove periferie.
I finanziamenti legislativi, per note vicende nazionali, nel ‘92-93 si sono interrotti.
Rimane, oggi, con pochi fondi a disposizione, da ricucire vecchio e nuovo … rimane da completare, da riabitare.
Che ne è stato della Carta Europea del Patrimonio Architettonico di Amsterdam o della Carta di Machu Picchu che stabilivano principi essenziali sia in relazione alla conservazione integrata dell’esistente che della costruzione del nuovo habitat?
Alcuni casi confortanti
Ci sono stati alcuni casi di recupero intelligente … Rocca S.Felice, Nusco, Gesualdo, S.Angelo e Guardia Lombardi (parzialmente), Sant’Andrea di Conza; in quest’ultimo, comune rientrante nella 1^ fascia (disastrati), l’amministrazione comunale dell’epoca, già impegnata sul finire degli anni ’70 in un programma di valorizzazione a fini turistici, ha optato per il recupero integrale dell’intero centro antico; puntando sulla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e architettonico, monumentale e minore, ponendo una attenzione particolare al recupero di antichi complessi storici quali il Palazzo dell’Episcopio (divenuto sede del comune), il Convento di S.Maria (pensato come laboratorio teatrale), l’antica Fornace di laterizi (recuperata come piazza coperta e centro culturale).
A Gesualdo, adottando per la prima volta in Campania lo strumento della Convenzione (oggi accordo di programma) tra Comune e Facoltà di Architettura di Napoli, si è pervenuti ad un piano di recupero esemplare, fondato sull’analisi morfologica e tipologica degli elementi, volto al recupero reale e non ad un piano di nuova edilizia come verificato negli altri comuni in genere.
Tranne le poche eccezioni riportate, ad un quarto di secolo dal sisma, in tutti gli altri comuni non risulta definito né quanto rimane dei centri storici né i nuovi insediamenti.
Nei centri storici restano da sistemare gli spazi vuoti lasciati dagli edifici trasferiti nei piani di zona; sono presenti ancora ruderi e sterpaglie; i piani di zona sono invece ancora in fase di urbanizzazione; naturalmente si presentano incompleti, sovradimensionati, con tante caselle ancora da riempire; né contigui coi centri storici, né nuovi luoghi.
Un’approfondita analisi relativa alla qualità degli insediamenti e all’immagine urbana che ne è derivata richiederebbe spazio, andrebbe condotta luogo per luogo, analizzando contestualmente i risvolti sociali di ogni singola decisione attuata.
Non soffermiamoci però in … “una casa è stata data a tutti” o … “l’Irpinia sembra una piccola svizzera“!
Il pentimento
Negli ultimi anni, altre esperienze, innescate da una sorta di pentimento per le violenze apportate ai centri storici hanno preso il via nel territorio altirpino.
Ad esempio il progetto pilota di Recupero dei Borghi della Terminio-Cervialto, in corso di ultimazione: si recuperano comparti edilizi e aree di sedime (abbandonati da privati che hanno ricostruito nei piani di zona) in 4 comuni consorziati con finalità turistiche, legati al Parco dei Picentini e alle Strade del Vino (attuazione misure POR); tra questi, Castelvetere sul Calore di cui si riportano alcune immagini.
Anche a seguito di questa esperienza si può confermare un dato anticipato in Irpinia nel 1990 a seguito di una ricerca condotta dalla Soprintendenza BAAAS di SA-AV e dal C.N.R., Gruppo Difesa Terremoti: “il recupero di un vecchio edificio costa sempre meno di una nuova costruzione a parità di superfici utili; in quanto alla sicurezza sismica, i livelli di garanzia sono sostanzialmente gli stessi”.
In caso di sisma, il recupero è l’unico programma sostenibile anche in termini ecologici (meno materiali a discarica e meno cemento, meno cave, meno gasolio per i trasporti; più manodopera qualificata, più materiali locali, più artigianato, più riconoscibilità ambientale e ritorno economico in termini turistici).
Indicazioni
Il recupero dei Borghi della Terminio-Cervialto è un buon segnale da parte di chi governa il territorio; frutto di maturazione e di capacità nel rivedere scelte precedentemente effettuate; uno dei pochi casi in cui i cittadini, coinvolti, sono soddisfatti dei risultati ottenuti.
I tempi di attuazione sono stati comunque lunghi: otto anni dal concorso di progettazione alla ultimazione dei primi lotti funzionali; metà del tempo impiegato per venire a capo della intricata infinitesimale selva di proprietà catastali; tempi inaccettabili se rivolti a popolazioni terremotate che vivono in strutture provvisorie.
Belice, Friuli, Irpinia, Umbria, Molise …esperienze da rileggere e confrontare per avere indicazioni certe sulle modalità di attuazione e gestione del dopo-evento.
Occorrono strutture di assistenza tecnico-operativa‚ già radicate sul territorio, al servizio dei comuni disastrati fin dai primi giorni dell’emergenza; strutture che abbiano già prodotto ed analizzato dati inerenti il territorio; strutture interdisciplinari capaci di gestire, attraverso reti di dati, le complessità dell’evento; storici, sociologi, urbanisti, architetti, ingegneri, geologi, tecnologi, affiancati da tecnici e amministratori locali, in grado di analizzare, catalogare, recuperare la parte storica e riprogettare con certezza la parte nuova.
Ben vengano iniziative come il centro regionale di competenza AMRA, da poco insediato a S.Angelo dei Lombardi.
Si eviti di ricorrere agli amici architetti del presidente di turno.
Riprendendo i capisaldi di questo breve excursus, in quanto alle tipologie di intervento dei piani di recupero occorre forse privilegiarne due: il restauro conservativo, da proporre con fermezza nei centri storici, e la ristrutturazione urbanistica‚ da cogliere come occasione di ridisegno urbano, privilegiando gli spazi sociali della collettività.
Da evitare assolutamente ogni suggestione di ampliamento urbano o di ricostruzione a distanza.
Riguardo le responsabilità connesse ai progetti bisogna dire che, in genere, sono stati affidati a soggetti privi di cultura; attenti, forse, negli aspetti particolari, specifici, ma incapaci di comprendere il senso complessivo che ogni intervento deve avere; incapaci di cogliere il significato, ad una scala più ampia delle singole operazioni loro richieste e quindi, nel migliore dei casi, attenti al singolo edificio in quanto tale e non inteso invece come momento dello spazio urbano; in questo confermando ulteriormente che l’apparato legislativo italiano, e quindi ogni legge di ricostruzione, fornisce unicamente direttive su come realizzare la singola casa o il singolo edificio in genere; esiste una cultura della quale siamo permeati sia in termini istituzionali che in termini progettuali che spinge a fornire delle risposte singolari e non di complessità.
Da evitare quindi il fattore isolazionista che ha caratterizzato negativamente ogni ricostruzione.
Sull’attuazione edilizia si può pensare all’affidamento a consorzi di imprese locali attraverso lo strumento della concessione. Il consorzio di imprese locali si rende necessario per evitare l’ingerenza da parte di imprese che provengono da aree geografiche distanti con le conseguenti problematiche patologiche riscontrate anche in Irpinia: sub-appalti, drenaggio di risorse economiche, cattiva qualità di esecuzione. E’ importante far crescere il tessuto imprenditoriale locale in modo da non disperdere quel patrimonio di esperienza e cultura materiale necessario per intervenire correttamente nei centri storici. La concessione, mediante un unico soggetto referente, può assicurare rapidità dei tempi di esecuzione, trasferimento di responsabilità burocratiche operative (ad esempio espropri e refusioni catastali) e al contempo una qualità edilizia a grande scala. Si potrebbe così evitare un altro dei fattori negativi che si è riscontrato nei centri altirpini: la ricostruzione a macchie (per singole unità, senza unitarietà di intervento, né priorità). Con l’unitarietà di attuazione si potrebbe procedere per ambiti consegnando parti urbane pavimentate, illuminate, immediatamente abitabili; parti finite che in tempi brevi invoglino il cittadino a staccarsi dal prefabbricato e dall’inerzia legata ad esso.
Valva, nell’alta valle del Sele, in provincia di Salerno, è forse l’unico centro distrutto da sisma del 1980, dotato di piano di recupero in cui si è attuata la sostituzione generalizzata da parte del comune (esproprio generalizzato e riassegnazione delle unità abitative finite, con le modalità quindi solitamente adottate in Piano di Zona); quindi con unitarietà di programmazione, progettazione, realizzazione.
L’unitarietà di intervento attuata a Valva sembra aver dato risultati confortanti.
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relatore Angelo Verderosa
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Muta…menti / il territorio, i progetti e le opere Castello Ducale di Bisaccia 26 novembre 2000
Iter Irpinum / i Borghi Medioevali del Terminio-Cervialto Palazzo Vescovile di Nusco 16 dicembre 2000
Scenari Urbani / esperienze, narrazioni e ricerche progettuali Biblioteca Comunale di Atripalda 21 giugno 2001
Antiche memorie /nuove idee, altri modi di abitare la campagna Fiera Interregionale di Calitri 29 agosto 2001
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Restauro dell’Abbazia del Goleto Sant’Angelo dei Lombardi, 26 febbraio 2004
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