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ALAMARO a BISACCIA

ALAMARO a BISACCIA

PreS/Tletter è una rivista on line di architettura; raggiunge ca. 50.000 utenti; punta di diamante sono gli “Intermezzi” di Eduardo Alamaro (ex-napoletano, oramai a pieno titolo post-irpino della comunità provvisoria); guarda caso l’ultimo numero, scritto prima della riunione bisaccese-oscatese, contiene un passaggio sull’Irpinia, sul terremoto e su Arminio; altri scritti, pubblicati precedentemente, parlano di Castelfranci, del Goleto, della piazza di Lioni, di Teora, ecc.; con il blog conterremo il tutto… riporto di seguito uno stralcio della rivista che contiene lo scritto di eduardo (cambio colore e grassetto sono miei)
PresS/Tletter n. 24-2007  
http://www.prestinenza.it http://www.presstletter.com

INTERMEZZO di eduardo alamaro

Piedigrotta, Beppe Grillo e la Post/Irpinia: tre (intermezzi) al prezzo di uno
Buongiorno. Ci risiamo. Riprendiamo con questi “Intermezzi” senza mezzi. Non ne ho molta voglia oggi. Sarà il caldo, la desertificazione mentale. Che vi scrivo? Gli argomenti possibili son tanti, più o meno paràrchitettonici. Volevo fare ‘na cusarella “sfiziosa”. Locale, leggera, da introibo. Una notarella sulla ripresa, dopo 25 anni di abbandono, della festa di Piedigrotta, la famosa festa settembrina di Napoli, sacro-profano (più ano che prof.), addirittura priapica, pare, alle origini, nella grotta antica. Ne è lontana traccia il noto detto: «‘A Piererotta, trase sane e jesce rotta», con evidente doppio senso. Ne scrisse da par suo anche il citatissimo Walter, Benjamin, nell’ambito delle sue osservazioni sulla “Napoli città porosa” (o purulenta, chissà?) Quell’aggettivo “poroso” l’ho sempre associato istintivamente al pus, alla materia putrida, infetta. Ho cercato di motivarmi, son andato per la via Partenope benevolo, con le lenti rosa, per scrivere bene della “Bentornata Piedigrotta”. Ma mi hanno fatto cadere le braccia e le dita sul computer. Nemmeno un barlume di idea di nuovo folclore, tanto necessario. “Festa, farina e munnezza”, ha titolato “La Repubblica/Napoli”. Non posso sparare sulla croce rossa, né sperare su “Luna rossa”. E nemmeno su amici artisti ed architetti che hanno progettato quattro carri che mi son parsi, nonostante le apparenze iperfestose, carri funebri. Funerale del comune senso del pudore civile della già Napoli nobilissima. Pure i carri di Nicola Pagliara, che ci provò nel dopo-terremoto, nel 1982, al confronto sembrano opere di Guglielmo Sanfelice. Sempre peggio, specchio dei tempi! Vedi i carri e poi muori! Desisto, non insisto (per fede, speranza e carità di Patria locale).
Potrei scrivere sulla valanga Beppe Grillo. Mi attrae il rapporto tra il suo “vaffa” e il nostro possibile e specifico “vaffarch.”, anzi per esteso, con decenza parlando, “vaffarch.culo!! Cioè sulla “global sòla” (copyright Muratore) delle archistars, (‘a Sola mia sta ‘nfronte a tte!!!). Tutti i grilli parlanti su internet e sulla piazza reale, tra la rete e il corpo dei trecentomila firmati in piazza, a Bologna Maggiore, … cioè su come cambia, in questo ping/pong tra materiale ed immateriale, la percezione e la pratica della scena urbana. Ma dopo tutto quello che s’è detto e scritto sul rapporto tra “internet che entra in noi e noi che ci diluiamo nel mondo di internet” m’è passato ‘o ggenio. Desisto, non insisto. Fa caldo.


E allora, che scrivo? Vi parlerò dell’estate, delle mie vacanze, una parte della quali le ho trascorse in Alta Irpinia. E’ tutta un’altra Italia, questa medio-montana appenninica nostrana. L’ Italia minore non bagnata dal mare, dal clamore, dalle grandi masse che popolano invece l’infelice costa, “la polpa”, ‘o purpo. Qui siamo invece nell’osso, per la verità già tutto rosicchiato, architettonicamente parlando, dopo la ricostruzione del disastroso sisma del 23 novembre ‘80. Nell’«Irpinia d’Oriente», quella che guarda verso Foggia e Bari, sta di casa Franco Arminio, “paesologo”, un tipo interessante, con quale sono entrato subito in sintonia. Possiede quel giusto disagio di stare su questa Terra che lo mette in grado di capire la sua Terra d’origine, di scavare nelle sue radici antiche. Per poi scriverne, con arte. Come la voce “Terremoto” che ha redatto per il catalogo di una mostra sugli anni settanta, in programma prossimamente alla Triennale di Milano. Me l’ha fatta leggere in anteprima. Di getto confezionai questa risposta, che partecipo con pathos ai lettori di questa PresS/T:
“ … No, secondo me sbagli: quelli, gli “irpini di sotto”, quei tremila che son rimasti sotto le macerie delle loro povere case dis-armate, avevano capito tutto. In anticipo, come succede ai poeti ed ai pazzi. O semplicemente ai disturbati come noi. Succede per intuito, per dono di preveggenza divina. Senti a me, “quelli” non sono voluti uscire a bella posta! Sono rimasti “sotto”. Anzi, meglio, “dentro”. Dentro le cose, le loro cose e le loro case di sempre. Il loro dialetto e le loro abitudini. La loro dignitosa povertà. Nel loro Presepe. Nei loro paesi-presepi, gerarchici, solidali, aggrappati alle montagne del Pan, dell’Appennino. Son voluti rimanere nella L’ Oro Irpinia millenaria. Dove le parole erano poche e “pesavano”, non erano stata ancora inflazionate come oggi. E quella parola era legata allo sguardo. L’occhio “pesava” la persona. E non sbagliava mai! Erano lupi resistenti i sepolti vivi, le vittime sacrificali. Quelli che hanno rifiutato la scintillante miseria attuale edilizia. E così si sono salvati!
Si, io lo so, li sento quando vengo dalle tue parti. Sento i loro rumori e le loro voci che pro/vengono da sotto la vostra Terra antica. Sono come i vietcong dei miei tempi, combattenti per la liberazione. Utopie. Per questo hanno scavato come talpe, hanno costruito una Irpinia parallela che sta sotto le cose e case odierne. E resistono. E fanno incursioni, guerriglia. Sono la coscienza che rode giorno per giorno la crosta attuale abusiva post/irpina. E ogni tanto ciò viene alla luce in uno scritto, in una battuta, in un grido, in un’opera, in un “intermezzo”.
Quegli irpini resistenti sono stati come “Novecento” del film omonimo, ricordi? Non scese dal transatlantico, una volta giunto di fronte allo spettacolo della metropoli, il pianista. E così quel suo magico suono d’arte rimase per sempre chiuso dentro la nave, anche quando essa andò a demolizione. Amen. …. E l’Irpinia, come quel vecchio transatlantico d’arte del film, è stata rottamata, (pìù rotta che amata), lo sai bene. Rottamazione incentivata per legge. Legge di mercato. Rottamata col consenso degli abitanti, non dimentichiamo. Quelli che si erano “salvati”, gli attuali post/irpini dilatati, allargati, smodati. Zittiti e senza parola. Quelli che si son sentiti sdoganati dalla “Grande botta”, liberi dagli antichi vincoli colla natura del luogo. Tutti, nessuno escluso, ognuno colla sua giustificazione e scusante.
“E se non mò, quando?”, si dissero. “Apprufittamme!!”, Vaffarch.culo, Povera Irpinia!!
Ma “i resistenti” scavano ancora. Sono come l’inconscio che bussa alle porte, come disse Freud nella sua famosa conferenza. E noi, con questi nostri scritti, siamo sonde, agenti di collegamento. Noi siamo “in mezzo”, mediani tra i morti e i vivi, tra i resistenti e gli esistenti. Tra l’Irpinia e la Post/Irpinia. Siamo strani sensori, cavalieri a cavallo di quella notte del 23 novembre 1980. E faceva caldo quella sera, come oggi. Speriamo bene, non ho più l’età. Ora pioviggina. Forse pioverà!”. Un saluto, Eduardo Alamaro (Eldorado)


P.S. rileggendo, segnalo ai lettori un mio lapsus: ho scambiato il cardinale Guglielmo Sanfelice per l’architetto Ferdinando Sanfelice. Forse perché il Sanfelice fu Cardine e anima dell’architettura napoletana del ‘700, l’ultima veramente moderna e autoctona! Chissà che direbbe oggi, di fronte a queste macchine da festa continua. Sarebbe Santinfelice!!! E..A.

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