03 Lug PICCOLI BORGHI _ Paolo Saggese per IL MATTINO
SALVIAMO i PICCOLI BORGHI _ una riflessione di Paolo Saggese per IL MATTINO
Vi è una discussione fittissima, ormai da quasi trent’anni, sul destino dei piccoli comuni d’Irpinia, come era già avvenuto, nel 1968, dopo il terremoto del Belice. Allora, a causa del disastroso sisma del 23 novembre, si propose di accorpare, ad esempio, Lioni, Sant’Angelo, Torella dei Lombardi e farne un unico centro, con più servizi, con più prospettive – si pensava -, con più futuro.
Allora, si ipotizzò anche di dislocare in pianura alcuni centri arroccati sulle colline allora coperte di macerie, ed in alcuni casi sono nati nuovi centri abitati, anche a causa delle ungarettiane “frane ferme” (Conza della Campania, Bisaccia).
In quegli anni tra il 1981 e il 1985, la discussione fu esaltante e spesso vana. Il resto è ormai storia. Poi, superati problemi insediativi, si passò alla discussione del futuro industriale, con la realizzazione di un mirabile progresso fondato sulle “fabbriche in montagna”, sull’ipotesi di una nuova Svizzera, che avrebbe realizzato le “magnifiche sorti e progressive”. Anche in questo caso, sappiamo come sono andate le cose.
Ma c’erano ragioni più grandi, superiori alla nostra volontà, che decretavano altro destino per i piccoli paesi del Sud, come per tutti i piccoli centri dell’Italia interna.
Questa ragione è la “fuga” verso le città, verso il “progresso”, verso il “moderno” e il “futuro”, come la “fuga” verso il lavoro, la sopravvivenza o la ricchezza. Si fuggiva anche dalla miseria, e questa fuga oggi sta divenendo sempre più di attualità.
Di questo e di altro, si discuterà sabato 23 giugno presso l’Abazia del Goleto, dove si riuniranno gli Stati Generali dell’Alta Irpinia, per affrontare il tema “Recupera/riabita. Salviamo i piccoli borghi dell’Appennino”. Nel corso della giornata di studi, si confronteranno varie personalità del mondo della cultura, del volontariato, dell’associazionismo, della Chiesa, per chiedere alla Regione e al Governo di fermare l’ulteriore espansione delle già devastate e inquinate aree metropolitane, di fermare l’avanzata delle periferie per poter coltivare le campagne, di fermare il piano casa, di sviluppare il trasporto pubblico su rotaie nelle aree interne, di favorire l’insediamento di giovani coppie provenienti da aree metropolitane nei paesi montani dell’interno.
Si tratta, come si vede, di un’iniziativa lodevole, che, tuttavia, va inquadrata in un ambito più vasto di programmazione nazionale e regionale.
In realtà, queste proposte, molto interessanti e condivisibili, sarebbero vane, se non si inquadrano adeguatamente in una politica generale di salvaguardia dei piccoli comuni, consentendo innanzi tutto a chi vive in questi luoghi di poter continuare a farlo. Bisogna, in sostanza, chiedere una revisione delle politiche generali del Governo, troppo legate a logiche ragionieristiche, che tendono inevitabilmente a essere concepite a favore delle aree metropolitane – più affollate – e a danno di quelle rurali – poco densamente abitate.
Insomma, ed è questo il nocciolo della questione, bisogna primariamente rendere “vivibili” i piccoli comuni, garantendo i servizi fondamentali quali l’istruzione, la salute, il sostegno alle famiglie, all’infanzia, ai diversamente abili, il lavoro, la viabilità. Se questi vengono meno, perché si operano tagli sulla base dei numeri (di alunni, di pazienti, di bambini, ecc.), questa politica puramente economicistica costringerà inevitabilmente tutti alla “fuga”.
Una volta garantiti pari diritti agli abitanti dei piccoli comuni come a quelli delle grandi città, si potrà procedere, anche contemporaneamente, ad un rilancio, ad esempio, dei centri abitati, delle parti storiche e di pregio artistico, utilizzando come slogan proprio quello del convegno del Goleto, “Recupera/ riabita”.
Discutere, invece, del recupero dei beni architettonici e urbanistici senza collocarli in un discorso più ampio potrebbe essere infruttuoso. E di questo, devo dire, sono consapevoli gli organizzatori dell’incontro – dibattito, che opportunamente collocano nella giusta prospettiva il problema. Infatti, noi non dobbiamo rendere l’Irpinia un’Arcadia, una sorta di museo all’aperto, dove natura, ambiente, ricchezze architettoniche e paesaggistiche possano essere semplicemente ammirate. Noi dobbiamo fare dell’Irpinia luogo in cui pulsa la vita e insieme sia luogo di armonia tra bellezze naturali e “innaturali”.
Questa è la sfida: fare di una sorta di agriturismo a cielo aperto, che va da Montevergine e dai Monti del Partenio sino a Monteverde, un luogo, in cui le generazioni a venire possano progettare il loro futuro. Si tratta di una grande sfida, la prima per noi, ma anche per la Campania intera.
Insomma, solo se il Governo regionale e nazionale prenderanno in considerazione l’idea che “l’Italia sarà ciò che i piccoli comuni saranno” – per mutuare una frase dorsiana – potremo aver vinto la battaglia. Altrimenti, saremo tutti condannati ad essere scambiati immotivatamente per intellettuali snob e radical, che dimenticano i problemi della “gente” e si interrogano sui massimi sistemi.
Perciò, concretezza di analisi deve andare a braccetto con l’amore per la bellezza, nella consapevolezza che forse “la bellezza ci salverà”.
Gli organizzatori di “Recupera / riabita” – primo tra tutti Angelo Verderosa – di tutto ciò sono consapevoli. Perciò il loro contributo sarà di straordinaria importanza, se si troverà persone in grado di ascoltare.