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Ariano Irpino / La Citta’ possibile _con Arnanah

Ariano Irpino / La Citta’ possibile _con Arnanah

Ariano Irpino / La Città possibile, prospettive dell’assetto urbano e territoriale

CONVEGNO 27 dicembre 2012 / a cura dell’Associazione culturale ‘Arnanah’ 

relazioni di : Antonio Alterio, Pio Castiello, Alessandro Corsano, Generoso Cusano, Maurizio Defez, Cesare De Padua, Domenico Gambacorta, Giovanni La Vita, Antonio Mainiero, Fabrizio Mangoni, Carlo Pizzillo, Antonio Romano, Angelo Verderosa

Leggi di seguito l’intervento di Angelo Verderosa (oppure per scaricarlo in PDF clicca QUI)

Leggi il Bollettino dell’Associazione Arnanah, dicembre 2012, dedicato alla Città Possibile (clicca sul link seguente)  ARNANAH BOLLETTINO DIC 2012

 

QUALE URBANISTICA per il nostro FUTURO

di Angelo Verderosa

 

L’Italia è oggi nel suo paesaggio agricolo; o meglio, in quello che ne rimane.

Una volta l’Italia era anche e soprattutto nelle sue città, in quel continuum  tra due grandi elementi caratterizzanti: la città e la campagna.

Il corridoio urbanizzato

Negli ultimi cinquanta anni, tra ricostruzioni post-bellica e post-terremoti, tra inurbamento e  industrializzazione e tra autostrade e alta velocità, l’Italia è divenuta un corridoio urbanizzato. Per la precisione un doppio corridoio costiero, uno tirrenico l’altro adriatico, urbanizzati con sfregio alla bellezza e al carattere italico  del paesaggio e dell’architettura. E la colpa non è solamente degli architetti o della politica come si potrebbe grossolanamente pensare.

L’Italia è stato il paese che storicamente ha accolto il maggior numero di viaggiatori illustri; venivano qui per essere partecipi della cultura e della bellezza; si alimentavano di pane e paesaggio. Nei loro scritti decantavano proprio quell’armonia tra natura e artificio, tra città e campagna, attingendo nella storia e nell’archeologia. Cosa vedrebbe oggi uno di quei viaggiatori illustri attraversando l’Italia da Milano a Reggio Calabria ?

E noi, riusciamo a vedere e a capire bene quale scempio è stato fatto del nostro territorio ?

La fisionomia italiana

In pochi decenni, l’Italia ha cambiato negativamente la propria fisionomia. Siamo passati da una lenta sedimentazione architettonica ad un’incontenibile bulimia edilizia. Tutte le città italiane sono ormai sformate, non hanno più un perimetro riconoscibile né luoghi d’ingresso; nessun carattere formale o materico identificativo di tipo geografico e locale. L’edilizia prodotta negli ultimi decenni, è opinione diffusa,  non ha alcuna valenza formale né tecnologica; solo casualità e quantità senza alcuna qualità e con tanta voracità energetica. Tutto già in avanzato stato di degrado, bisognoso di manutenzione dispendiosa.

Il terreno, bene non riproducibile

Intanto si continua a pianificare per urbanizzare e costruire nuovi edifici, pubblici e privati. Consumando l’unico bene al mondo che non è più riproducibile: il suolo; il terreno insomma; molto spesso terreno agricolo ! In questo momento abbiamo in Italia circa 30 milioni di unità abitative tra appartamenti, ville e villette; 5 milioni di queste unità abitative sono sfitte e/o seconde case. Se incrociamo le linee di decrescita demografica con quelle dello sviluppo edilizio prefigurato nei piani regolatori vigenti avremo che per ogni nuovo nato nel 2013 ci saranno circa 9 appartamenti a disposizione ! (più di 2 vani / abitante). Attenzione la questione non è tanto la quantità di mq. costruiti ma la bassa densità abitativa e quindi la superficie urbanizzata per abitante, cresciuta in trent’anni 15 volte la crescita della popolazione !  Continuiamo a panificare modelli edilizi ed urbanistici impropri.

L’edilizia al sud

Lo sappiamo, l’edilizia -soprattutto al sud- è stato per anni l’unico volano dell’economia locale: siamo passati dal campo di patate al condominio ! concentrando una generosa massa di risparmi e di rimesse migratorie univocamente sul mattone e sottraendola pertanto ad altro tipo di  investimenti produttivi.

Che ruolo ha avuto in tutto questo la pianificazione urbanistica in Italia ? Cerchiamo così di avvicinarci al tema posto alla base dell’iniziativa dell’Associazione Arnanah.

Nella gran parte dei casi, non è riuscita ad incidere minimamente sull’organizzazione razionale e sul miglioramento delle condizioni di percezione qualitativa di città e paesi. Benché entrata in vigore già nel 1942, la legge urbanistica -con la prescrizione all’art.4 dei piani regolatori- non è stata mai attuata nei modi e nei tempi giusti. Dobbiamo prendere atto che gli unici indirizzi di espansione urbanistica sono stati sempre imposti dal mercato immobiliare. La pianificazione seguiva a ruota, arrivava dopo; cercava di ‘sanare’. La non volontà di governare il territorio a livello comunale  si è tradotta nell’elaborazione di piani urbanistici farraginosi e cavillosi, approvati sempre in ritardo rispetto alle dinamiche anarchiche e imprenditoriali dei territori, spostando il luogo del confronto dalla piazza, agli uffici comunali e quindi ai tribunali.  A poco sono serviti i vincoli e molto hanno potuto poi le sanatorie edilizie e fiscali.

Troppo e male

Nella fretta si è costruito troppo e male. Le periferie sono una peggio dell’altra senza distinzione tra quella di Eboli e quelle di Milano. E proprio andando in macchina da Eboli a Milano (o da Lecce a Venezia)  potremo capire qual’è stato il risultato del fallimento della politica urbanistica nazionale : una sequela ininterrotta di capannoni industriali, caseggiati, palazzine, villette, autogrill, centri commerciali, centri espositivi e parcheggi. Esperienza forse unica al mondo, si può viaggiare per migliaia di chilometri nel costruito, in una sequenza di periferie, corridoi della bruttura. Non ci credete ? Fatevi un viaggio o guardate su una foto satellitare notturna la striscia luminosa continua dell’Italia urbanizzata.

Perché questa lunga premessa ? L’Associazione Arnanah di Ariano Irpino, che da anni anima il dibattito culturale cittadino, ha voluto generosamente aprire una riflessione sulla ‘città possibile’: cinquanta anni dopo il terremoto che colpì Ariano nel 1962 e due anni dopo l’adozione del PUC.  Una riflessione sul futuro possibile per Ariano.

Prima di entrare nel merito di una ‘visione contemporanea’ per Ariano (al convegno del 27 dicembre illustrerò un mio contributo di idee attraverso una sequenza di immagini), conviene aprire ancora una breve riflessione sulla disciplina urbanistica alla luce della crisi economica che attraversa l’Italia.

I piani di ultima generazione

I cosiddetti P.U.C. (Piani Urbanistici Comunali) rappresentano nella napolicentrica regione  Campania i piani di ultima generazione (L.R. 16/2004); i PUC sicuramente sono stati pensati a Napoli e per la città metropolitana di Napoli; chi ha legiferato non sapeva che esistono anche i piccoli paesi di 1.000 abitanti che sono poi obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico complesso tale e quale al PUC di Napoli …  I PUC sono l’evoluzione didattica e metodologica degli ormai datati P.R.G. (Piani Regolatori Generali) e prendono atto del reale costo dei suoli privati rinunciando a priori al meccanismo degli ‘espropri’ e dei ‘vincoli’.  Organizzati in livelli ai più incomprensibili (piano strutturale e piani operativi) e dotati di una selva di spaventose sigle (PTR, PTCP, VAS, RUEC, NTA, RA, LGPC, PSSE, VIA, PUA, SIAD, ZPS, SIC, ecc.; GULP !) nel migliore dei casi, cercano di ricucire le frange dell’espansione post anni ’70; finendo quindi col corroborare e convalidare le tendenze improprie e pregresse. Dopo una lunga serie di passaggi istituzionali finto-partecipati, si limitano infine a ‘ri-zonizzare’ fasce già congestionate di territorio; a seconda dei casi, immettono ulteriori volumetrie sotto forma di zone ‘residenziali’ e/o ‘alberghiere’ e/o ‘produttive’; facendo salti mortali per giustificare massivi ampliamenti edilizi a fronte della acclarata decrescita demografica in atto. Tant’è che molti comuni evitano di porre mano alla revisione dei PRG per evitare di dover revocare vantaggi volumetrici ai proprietari di suoli. Insomma, è cambiata la metodologia ma non la sostanza; dobbiamo constatare che si tratta ancora, nella stragrande maggioranza di casi, di piani ‘espansivi’, fortemente burocratizzati, dove si continua a fare uso della matita e non ancora della gomma.  Non resta che augurarsi che quello che non ha potuto finora la pianificazione forse lo potrà la tassazione dei suoli edificabili.

L’incrementalismo

Nell’attuale fase di ripensamento delle teorie urbanistiche (l’urbanistica è una disciplina che ama le tendenze; quando studiavo a Napoli si portava la ‘metodologia della soglia’; poi è stato il momento della ‘perequazione’…) sembra prevalere il cosiddetto ‘incrementalismo’;  si rinuncia cioè alla ricerca di soluzioni tecniche complesse in favore di un modo di procedere incrementale, rimediale, seriale, progressivamente esplorativo: non si parte da obiettivi generali da raggiungere (antitesi quindi del piano strutturale) ma da mali da rimediare. Insomma l’incrementalismo propone di procedere dai problemi della scala di quartiere per poi passare man mano ai mali della città: elaborare progetti puntuali da inserire entro una visione di lungo periodo.

La ‘non pianificazione’ 

In Italia vi è l’urgenza di chiarire e ridefinire il significato di ‘urbanistica’; tra le ultime tendenze, sempre più pensatori e urbanisti concordano che ormai l’unica teoria di pianificazione possibile è la ‘non-pianificazione’. I piani, dopo il lungo iter necessario all’approvazione, non vengono attuati; corruzione e contenzioso legale aumentano; uffici comunali e imprenditori sono ingessati, l’ambiente viene frantumato, i centri storici si spopolano. Gli urbanisti hanno una visione personale e di parte e vorrebbero imporre il loro pensiero-piano ad una moltitudine di persone; partoriscono in genere piani autoreferenziali.   Una teoria negativa della pianificazione si riassume nel riconoscimento che il termine “interesse generale” è privo di significato ed efficacia fondante sia dal punto di vista concettuale che dal punto di vista operativo. Sempre più i piani che riescono ad attuarsi sono progetti alla scala di quartiere, diciamo ad una scala di giudizio e di uso più umano.  L’urbanistica, quando proprio necessaria, dovrebbe risolversi in un buon progetto  di architettura; non dovrebbe più esserci alcuna distinzione tra urbanistica, paesaggio, ecologia e architettura. Ma questo è un mio pensiero, estremo al riguardo. In conclusione di questo mini-paragrafo  diciamo che quello del ‘pianificatore’ è un lavoro interpretativo, che attribuisce valori e diritti a soggetti presenti e futuri e che, come ogni interpretazione, è creativo e rischioso; e il rischio è un rischio morale. E andrebbe pertanto condiviso con una molteplicità di attori.

Il valore morale

La parte di opinione pubblica che conserva ancora una buona immagine del termine ‘urbanistica’ ha nel cuore e nella mente i piani di Haussmann per Parigi, di Beruto a Milano e di Berlage ad Amsterdam; grandi piani che hanno saputo interpretare il tessuto della città rinnovandone il carattere nelle nuove parti; lavorando sui materiali, sulle gerarchie dei segni e sulla forza identificatrice del nuovo. In poche parole, operando con l’architettura più che pianificando con l’urbanistica.

La pianificazione comunale, sia alla piccola che alla grande scala, dovrebbe riscoprire i valori del sogno e dell’etica e procedere nell’elaborazione di una visione e di un bene pubblico qual’è un piano urbanistico con una metodologia autenticamente morale e comunitaria. Ecco quindi che il pianificatore (l’urbanista e l’amministratore) dovrebbe assumere la responsabilità e il rischio di compiere scelte motivabili attraverso i suoi stessi valori. Non esistono strumenti tecnici per valutare assetti collettivi alternativi, quindi c’è sempre un giudizio di valore che chiama in causa le responsabilità morali del  pianificatore e per questo le capacità richieste allo stesso non devono essere solo conoscitive ma soprattutto morali. E converrete che azioni  così importanti per il futuro di una città dovrebbero essere fortemente partecipate.

Il metodo Arnanah

Il metodo di riflessione proposto da Arnanah ci indica una possibile direzione nella ridefinizione del ruolo politico del ‘pianificatore’: una reale partecipazione sociale e una migliore informazione consentirà l’ammodernamento del processo decisionale nel suo insieme. Faccio questa riflessione perché al riguardo, per tornare nell’ambito locale, ho letto che ad Ariano il PUC fu approvato nel 2009, nell’ultima seduta valida di fine consiliatura, dopo ben 5 anni di elaborazione e senza significativi momenti di informazione e partecipazione sociale (cfr. delibera C.C. n°26 del 17.4.2009 pubblicata sul sito web comunale).

In ogni comune, alla figura del ‘pianificatore’ dovrebbe associato un gruppo di studio animato dal volontariato culturale; non è pensabile insomma che, nel breve periodo un solo individuo possa decidere il futuro di una comunità vincolandola con uno strumento urbanistico. Nel gruppo di studio ritengo indispensabile che vi siano almeno un archeologo, uno storico, una casalinga, un contadino, un poeta, uno scultore; nel caso di Ariano, dato il delicato equilibrio delle argille, sarebbe d’obbligo avere affiancata una nutrita squadra di geologi.  E per concludere ritengo che a guidare il gruppo non debba essere l’urbanista né un poeta ma un ARCHITETTO.

Il rinnovamento urbano

Difficile da credere ma il tipo di pianificazione approvata in Campania nel 2004 è stata superata proprio col PUC di Napoli: il progettista Vezio De Lucia, dopo decenni di saccheggiamento, è riuscito a far approvare un piano a crescita zero e senza impegnare ulteriori suoli (anche perché non erano rimasti poi tanti). Anche alla luce del piano vigente approvato a Napoli credo fermamente che non servono più piani generali ed espansivi per le città ma una serie di interventi ben architettati  al suo interno; limitati non solo nello spazio ma anche nel tema: un museo (come nel caso di Bilbao), un viale alberato, una piazza o una chiesa per esempio. Scrive Benevolo che questo (nuovo) tipo di politica urbana ha una lunga tradizione <<…la storia lunga della città, dall’antichità a oggi, consente di cogliere periodi nei quali il tema diventa quello dell’espansione e periodi durante i quali il tema è quello della renovatio urbis ogni volta declinata in modo diverso>>. Una politica di micro rinnovamento urbano è oggi l’unica compatibile in questo periodo di crisi economica e per uscire dalla sbornia della iper-pianificazione  perché si affida a pochi interventi puntuali con l’obiettivo concreto di modificare una parte di città o anche un singolo luogo, con ciò cercando riverberazioni positive, mostrando in breve termine esempi correttamente realizzati ai cittadini, superando le chiacchiere inconcludenti, la burocrazia e il vantaggio immobiliare per i soliti pochi. Immettendo nel tessuto locale nuovi stimolazioni -come un’agopuntura- capaci di riavviare cicli virtuosi di re-identificazione e di partecipazione da parte degli abitanti. Ridando fiducia alla capacità  umana di saper trasformare in meglio. Di abbellire. Ecco, bisognerebbe mettere sul primo scalino della nuova pianificazione italiana il ‘Piano di Abbellimento’ (senza sigle).

Cassinetta di Lugagnano e il ministro Catania

Mi accorgo che sono ormai al limite delle battute assegnatemi ma necessita parlare di questo interessante esperimento fatto a sud di Milano. Cassinetta di Lugagnano è il primo comune in Italia ad aver adottato uno strumento urbanistico che vieta di occupare nuovi suoli agricoli. Il giovane sindaco ambientalista, consapevole che ogni anno in Italia si consuma per nuove case e capannoni una superficie di terreno pari a 250.000 campi di calcio, ha fondato l’associazione “stop al consumo di territorio” riuscendo, forse inconsapevolmente, a divenire esempio positivo per l’intero territorio nazionale.

Ed è notizia positiva e recente che nella seduta del 16 novembre scorso, su proposta del ministro Mario Catania, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva un disegno di legge per ‘la valorizzazione delle aree agricole ed il contenimento del consumo del suolo’.  Cioè si vieta ad amministratori ed urbanisti di impegnare suoli agricoli per lo sviluppo urbano !

A Cassinetta, amministratori e cittadini previdenti e attenti hanno dimostrato di saper passare dal pensiero globale all’azione locale: NO alla ulteriore inutile cementificazione, SI all’recupero dell’esistente; premialità per chi riqualifica e ricostruisce con tecnologie eco-compatibili.

E aggiungerei, pensando ad esempio ad una prima serie di azione amministrative concrete per riabitare il centro storico di Ariano: abolizione dell’IMU per chi vi abita; super-tassazione TARSU e IMU per chi tiene case sfitte e/o seconde case; incentivazione alle giovani coppie che scelgono di abitare nel centro storico (asilo nido e trasporti gratuiti). Nelle zone cosiddette di espansione: si può costruire solo la volumetria proveniente da demolizione nell’ambito della stessa area ! Forse in questo modo entrando a Cardito eviteremmo di vedere complessi condominiali a 10 piani; penso piacerebbe a tutti gli abitanti rivedere da lontano il loro colle storico !

Il futuro possibile per i nostri territori interni non è più nell’incontrollato e infinito sviluppo edilizio (non ve ne sono più le risorse né i ritorni economici); il futuro potrà essere in una nuova agricoltura capace di fare filiera economica e di preservare il paesaggio; e bisognosa pertanto di divenire il tema centrale del nostro confronto.

In conclusione, Cassinetta e il ministro Catania stanno indicando (e imponendo) la strada da seguire per frenare il processo di autodistruzione che l’Italia ha attuato da decenni e per diffondere tra amministratori e cittadini la consapevolezza che il suolo agricolo va immediatamente  preservato e che la pianificazione pubblica è preziosa e deve essere gestita in modo moralmente attento.

Un modo non solo responsabile, ma virtuoso, solidale, ecosostenibile, parsimonioso quindi moderno e contemporaneo !

E il mio contributo alla possibile re-visione di Ariano ?

Sono in gran parte immagini, le illustrerò e le commenteremo al convegno del 27 dicembre promosso da Arnanah presso il Palazzo degli Uffici. Nel centro storico.

 

 

0 Quale URBANISTICA per il nostro FUTURO_ di Angelo Verderosa

 

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