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Presentazione libro ‘Goleto 1968’

Presentazione libro ‘Goleto 1968’

GOLETO 1968 – Testimonianze di storia e di arte

Presentazione del libro di Dora Garofalo / Delta 3 Edizioni / SABATO 15 MARZO 2014 – ore 17 / Abbazia del Goleto

Prefazione al libro; uno scritto di Angelo Verderosa

… Lo stato della Cappella era desolante; riparo delle cornacchie che nidificavano nella vicina torre della Badessa Febronia, le finestre senza infissi, la porta di ferro, senza vetri ed aperta, qualche scanno mal ridotto, dal centro dell’abside, da una nicchia di legno con vetri, dominava una statua, in cartapesta, del P. S. Guglielmo, di fattura leccese, un po’ malridotta, che mi diede il benvenuto. …  Visitai poi il resto della Badia: tronconi di mura, come mani scheletrite, innalzate al cielo, in buona parte coperte di edera che abbelliva un po’ la desolazione che vi dominava dappertutto: rovi, spine, urtiche ben alte, sambuchi ed altre erbacce che formavano un unico groviglio. Una vera desolazione ! un abbandono totale !

Sono gli appunti di P. Lucio Maria De Marino al suo arrivo alla Badia del Goleto; era il 21 agosto 1973. La comunità ecclesiale era stata soppressa nel 1807 e l’Abbazia era stata man mano spogliata di ogni bene artistico. Erano passati 166 anni nel completo abbandono.

Dora Garofalo, pochi anni prima dell’arrivo di P. Lucio, fotografa l’Abbazia nel suo abbandono e nel suo splendore. Per scrivere usa una portatile Lettera 32 Olivetti e, per fotografare, una Korolette Bencini con pellicola in bianco e nero. Dattiloscritto e immagini ci restituiscono con nitidezza la cittadella monastica di quarantasei anni fa. Ci sono parti andate irrimediabilmente perdute col terremoto del 1980; gli affreschi della Cappella di San Luca e le arcate in pietra interne all’ex-chiesa del Vaccaro, ad esempio. In una foto si vede il bellissimo e prezioso bassorilievo raffigurante San Guglielmo, rubato purtroppo durante i primi lavori di restauro negli anni ’80 e mai più ritrovato.

… Ancora nel 1968 continua a rimanere nell’oblio e nell’abbandono totale una Badia che è stata un faro luminoso nell’Alta Valle dell’Ofanto. … L’edera che ricopre i muri, il verde dei prati che circondano il monastero, la fontana di S. Guglielmo che ancora invita a bere la sua acqua argentina le pecore e gli asini che si aggirano indifferenti tra o maestosi ruderi infondono nei visitatori rabbia mista ad una grande tristezza !

E’ il periodo finale della ricerca condotta da Dora nel 1968 e che ci conduce, seppure con un filo di nostalgia misto ad amarezza, sulla strada del Goleto. Un ulteriore filo s’intreccia ai tanti altri di una storia millenaria, stabilendo nuove relazioni tra uomini, terra ed arte; è un invito a rileggere l’immenso patrimonio lapideo abbaziale, alla ricerca di tracce e conferme negli antichi segni. La scrittura di Dora ci riporta nell’Irpinia di quei lunedì in albis, ‘dopo la guerra’ e ‘prima del terremoto’ e ci accompagna man mano a ri-scoprire le vestigia del più grande e affascinante complesso architettonico custodito in Irpinia.  Le descrizioni delle numerose parti sono nitide e sobrie; suggestioni ed emozioni non sono mai assunte come tesi di parte; tracce da approfondire sono continuamente proposte ai lettori.

A seguito dei lavori di approfondimento e di restauro effettuati a più riprese negli ultimi venti anni, si rendono adesso possibili e più chiare alcune letture storiche; numerose sono le tesi di laurea incentrate sul Goleto di studenti in architettura, archeologia e conservazione di beni culturali; Francesco Gandolfo e Giuseppe Muollo, nel recente volume dedicato all’arte medievale in Irpinia, ragionano a lungo sulla complessità delle chiese sovrapposte e sulla doppia partitura interna a San Luca; e instancabile è il lavoro di rilettura e custodia di reperti e manoscritti da parte di Tarcisio Luigi Gambalonga. E’ opportuno, dove possibile, ritrattare alcune certezze tramandateci dagli storici così come è necessario continuare ad indagare sulle tracce archeologiche e sul patrimonio scultoreo disseminato tra le varie fabbriche. Ad esempio, durante gli anni trascorsi in cantiere, mi sono sempre più convinto che Febronia, nel 1152, si limitò a riparare e trasformare in torre di difesa il già mausoleo di Marco Paccio Marcello, rimasto immutato nel poderoso basamento e perciò non allineato alle prevalenti geometrie monastiche.

Purtroppo, rispetto all’epoca della ricerca di Dora, molte parti sono state incautamente alterate; si pensi alle arbitrarie distruzioni e ricostruzioni –fatte passare come restauri- dei primi interventi della fine degli anni ‘80. La Soprintendenza permise di stravolgere l’ala meridionale del convento maschile con materiali estranei, volumetrie gratuite e tecnologie incoerenti con la sobria e possente architettura medievale. Numerose tracce murarie, sculture e incisioni, furono alterate e anche rubate.

Sono salvi, in quanto ben incastonati nelle murature di pietra, e andrebbero meglio studiati e valorizzati gli innumerevoli reperti ornamentali lapidei risalenti a varie epoche storiche: graffiti, fregi, lapidi, bassorilievi, rosoni, gargolle, protomi leonine, sculture aggettanti con figure antropomorfe e zoomorfe, decorazioni floreali, incisioni simboliche. Tra questi, oltre il famoso e ben visibile serpente col pomo in bocca che corre lungo la scala di accesso a San Luca, meriterebbe un approfondimento la decorazione in elementi lapidei aggettanti posta sotto i cornicioni laterali della Cappella di San Luca: tra una ventina di protomi ritroviamo una croce patente e una a fiore, una mano benedicente,  una mezzaluna, una palmetta e una conchiglia; simbolo, quest’ultimo, sicuramente caro a Guglielmo che prima di arrivare al Goleto si era recato a Santiago de Compostela sulla tomba dell’apostolo Giacomo.

Oggi l’Abbazia del Goleto, a seguito dell’ultima campagna di restauri e adeguamenti strutturali, impiantistici e funzionali che ho potuto pensare e dirigere dal 2003 al 2010, si presenta completa e sicura in quasi tutte le parti. E’ abitata dai Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld che assicurano cura e manutenzione costante durante l’anno oltre che ospitalità e assistenza spirituale a pellegrini e visitatori.

E’ un punto di riferimento intercomunale; un luogo dove la cultura si propaga perché accompagnata dal silenzio e dalla bellezza del luogo. Le potenzialità ricettive sono ampie: vi sono due sale conferenze suggestive e dotate di buona acustica, una luminosa sala sopraelevata da attrezzare per mostre temporanee, due ampie aule ricavate nelle ex sacrestie della chiesa del ‘Vaccaro da destinare a sale espositive e museali e inoltre una foresteria di oltre trenta posti letto. Nella parte nord-est dell’area, durante gli ultimi lavori eseguiti per ubicare la centrale degli impianti, nel sottosuolo sono state rinvenute estese  tracce di murature; vi sono cunicoli e volte, e spessori murari che rasentano i due metri di larghezza. Significa che un’altra ampia parte dell’abbazia è ancora sepolta sotto i terreni agricoli all’intorno.  Bisognerebbe avviare una campagna archeologica per riportare alla luce un altro importante pezzo di storia,  permettendone la visita a noi tutti prima che vi affondino dentro ulteriori tralicci di elettrodotti e pale eoliche …

Ecco allora l’attualità della pubblicazione del lavoro di Dora Garofalo; leggendo e rileggendo le pagine della ricerca rafforziamo ulteriormente i nostri convincimenti che l’Abbazia non era e non è limitata alle attuali mura di recinzione ma si estendeva diffusamente nella campagna all’intorno, lungo gli alvei sorgentizi, in un complesso urbanistico e paesaggistico che costituiva un unicum, fatto di monumenti e fabbriche e orti e vigneti e vasche e corsi d’acqua, da cui si è irradiata la cultura letteraria, artistica e manifatturiera dell’Alto Ofanto.

Il Goleto è tuttora luogo di transito e di relazioni; di incontri e di cammini, di transumanze e pellegrinaggi. E’ un luogo centrale e sacro. E’ un patrimonio culturale e paesaggistico che deve essere conosciuto e difeso dall’incuria, dall’incompetenza e dalla speculazione energetica in atto.

Rituffandoci tra le pagine dello studio di Dora Garofalo, possiamo meglio comprendere la motivazione delle innumerevoli stratificazioni di stili diversi che sono al Goleto; alle testimonianze di epoca romana (non escludendo che il sito fosse abitato già nel neolitico) vediamo succedersi partiture architettoniche e sculture di matrice romanico-pugliese, poi federiciana, poi bizantina fino al maturo barocco di Domenico Antonio Vaccaro. La materia che accomuna le forme dei vari periodi è prettamente locale; è la pietra di brecciato calcareo detta favaccio o irpina che si è estratta per secoli nelle vicine cave di Nusco, S. Andrea di Conza e Fontanarosa. Tra i più bei preziosismi sono giustamente segnalati i capitelli a base ottagonale e d’ispirazione corinzia interni alla Cappella di S. Luca. Ci commuovono le colombe tubanti scolpite in alto, nel capitello maggiore e ci sorprende il leoncino che, girato, morde la base della colonna.  Tra le pagine del Goleto emergono a tratti le possenti figure di Ruggèro II e Federico II.

E leggendo, ricordiamo che sul Goleto hanno scritto, a far data dai primi del XIV secolo con Giovanni da Nusco, illustri storici quali Felice Renda, Gian Giacomo Giordano, Amato Mastrullo, Giovanni Del Guercio, Giovanni Mongelli, Giuseppe Zigarelli, Benedetto Croce, Theodor Mommsen, Emile Bertaux, Giustino Fortunato, Filippo Coarelli, Gino Chierici,  Guido Dorso, Manlio Rossi Doria, Giuseppe Chiusano, Maria Santini, Luigi Guerriero, fino alle testimonianze di vita quotidiana lasciateci da P. Lucio Maria de Marino a tutto il 1992.  Questi scritti hanno consacrato il paesaggio storico e culturale del Goleto e dell’Alta Irpinia.  Di recente, sui lavori di restauro effettuati, hanno scritto Diego Lama e Luca Gibello per il Giornale dell’Architettura di Allemandi Editore; immagini, testi e disegni sono stati pubblicati su riviste specializzate a seguito dei conseguiti premi di architettura nazionali.

La storia del complesso verginiano, come purtroppo noto, si interruppe bruscamente con la soppressione per legge napoleonica del 1807; ci fu la traslazione delle spoglie di Guglielmo a Montevergine e l’accorpamento delle due abbazie. Statue, dipinti, arredi lignei e finanche portali furono messi all’asta e sono da duecento anni nelle chiese dei paesi all’intorno,  attendendo almeno una catalogazione organica; una mostra dedicata a Domenico Antonio Vaccaro, uno dei più grandi artisti del  tardo barocco napoletano e architetto della grande chiesa settecentesca del Goleto, andrebbe promossa e allestita all’interno delle numerose sale dell’Abbazia. E chissà che durante gli scavi archeologici a farsi non ritroveremo i resti della villa del legionario romano Marco Paccio Marcello…

Vado oltre sul da farsi, oso, auspicando il ritorno delle spoglie sante di Guglielmo, Patrono Principale dell’Irpinia dal 1942 e che (qui) al Goleto fu venerato per oltre sei secoli, dal 1142 al 1807. Nel tratto finale dell’epigrafe del 1200, posta sul suo sepolcro e tramandata dagli storici della Congregazione Verginiana, si leggeva <<… Il Creatore di ogni cosa, qui, ove dorme l’uomo santo, faccia accorrere e aduni tutti i popoli di questa valle>>.

Questa valle ofantina e il suo popolo, ora più che nel passato, hanno bisogno della protezione di Guglielmo per sconfiggere gli insulsi attentati all’ambiente, alla salute e al paesaggio che sono purtroppo, come tutti sappiamo, scelleratamente in atto.

Chi vuole conoscere la nostra terra d’Irpinia non può che iniziare e concludere il suo viaggio nell’Abbazia del Goleto, fondata da Guglielmo nel 1132.

Qui c’è la nostra maggiore civiltà. Bisogna conoscerla, amarla e difenderla.

presentazione libro

 

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APPROFONDIMENTI SULL’ABBAZIA DEL GOLETO

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