05 Mag Sostenibilità, Mobilità e Opportunità _ Contrastanti narrazioni dall’Expo Dubai
Sostenibilità, Mobilità e Opportunità
Contrastanti narrazioni dall’Expo Dubai
Dopo 8 anni di lavori edili e 12 mesi di rinvio a causa del Covid, si è da poco conclusa la prima Esposizione universale in Medio Oriente. Opportunità e Mobilità di uomini, menti, idee e merci: obiettivo centrato, sicuramente. Sostenibilità invece ne è la nota dolente. L’Expo è stata costruita in un’area desertica di ben 438 ettari, a quasi metà strada tra Dubai e Abu Dhabi, in prossimità del nuovo Aeroporto Internazionale Al Maktoum, dove è iniziata la costruzione del più grande scalo al mondo per numero di passeggeri, 160 mln./anno; si sa che negli Emirati si procede solo col prefisso ‘più’: più grande / più alto / più profondo / più costoso del mondo…
Le infrastrutture realizzate per l’Expo sono impressionanti così come quelle tuttora in fase di sviluppo nell’intera città di Dubai: nuove autostrade, giganteschi elettrodotti, ramificati sistemi fognari e canali di adduzione di acqua prelevata dal mare e potabilizzata. Realizzare l’esteso ‘masterplan’ (progetto Land Italia–Andreas Kipar) con i 192 padiglioni nazionali oltre servizi e padiglioni tematici, ha comportato l’impiego di circa 500.000 tonnellate di solo acciaio oltre l’immaginabile corrispondente massa di cls., cartongesso, pvc., coibenti, pavimentazioni, vetro, alluminio, tubazioni, ecc. A fronte di questo ingente impiego-spreco è stato raggiunto l’obiettivo dei 25 milioni di visitatori a fronte di un costo di 6,8 miliardi di dollari (3 volte l’Expo-Milano 2015).
Vi hanno partecipato 192 nazioni, compreso Ucraina e Russia. La prossima Expo sarà ad Osaka, in Giappone, nel 2025. Tra le città candidate invece per il 2030 vi sono Mosca, Odessa, Riyadh, Busan e Roma. Auspichiamo che per i prossimi Expo si utilizzino solo volumetrie esistenti puntando a riqualificare il costruito in funzione espositiva; anche alla luce della guerra in corso, con le problematiche energetiche che ne conseguono, non sono più sostenibili operazioni come quella di Milano o di Dubai; sono ormai antistoriche. Bisognerà altresì realizzare expo paralleli, accessibili in virtuale, in modo da permettere ad un numero sempre più ampio di utenti di partecipare alle innovazioni in corso. Come Fondazione BioArchitettura bisognerà sensibilizzare molto in tal senso.
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Passiamo al paradigma della ‘sostenibilità, appunto, fortemente necessario e al contempo indispensabile per cercare di ‘connettere’ al meglio quelle menti che continuano a generare la crescita ipertrofica ed energivora del sistema Dubai; dagli attuali 3,3 mln. di abitanti, i programmi governativi puntano al raddoppio entro i prossimi 20 anni.
Condividerete che Dubai in particolare, dal punto di vista ambientale e della sostenibilità, è una dispendiosa follia in corso d’opera; la dimostrazione di un potere economico che punta a stupire il mondo con edifici spettacolari e attrazioni mirabolanti in un habitat inospitale e artificioso. Attira turismo internazionale, anche occidentale, basandosi su un mix di caldo d’inverno, offerta immobiliare a prezzi accessibili, attrazioni spettacolari, sicurezza ambientale, pulizia accurata di ogni dove, hotel di ogni tipo e cibo e spiagge a prezzi contenuti. La città si estende per una lunghezza di 50 km; gli spostamenti avvengono prevalentemente con auto di grossa cilindrata e taxi a basso costo; l’unica linea metropolitana, efficiente e sopraelevata, serve un’area molto limitata. Non ci sono parti della città visitabili a piedi: a parte le temperature elevate ad ogni ora del giorno, mancano spazi pensati per la collettività. Un rumoroso canyon autostradale a 12 corsie spacca giusto al centro la città: macchine lanciate a 120 km/h la attraversano di continuo. L’unica acqua disponibile, sia per i rubinetti che per le mega-fontane dell’isola artificiale intorno al Burj Khalifa, è ricavata da giganteschi impianti di desalinizzazione -alimentati a gasolio- e non vi sono riserve idriche superiori a 7 gg. di autonomia…; non c’è alcun tipo di agricoltura e ogni prodotto commestibile è importato da una distanza non inferiore a 2.000 km.
Il ‘sistema’ Dubai regge sugli investimenti di capitali provenienti da ogni parte del mondo, sull’energia elettrica prodotta con gas e petrolio e su una massa enorme di immigrati, soprattutto milioni di indiani e pakistani, che provvedono a fornire ogni tipo di manodopera a bassissimo costo, in particolare nel settore edilizio.
In un supermercato, una bottiglia di ‘Ferrarelle’ costa 33 AED (8 euro). Un litro di benzina costa 0,60 euro (dieci volte meno dell’acqua). Ma il ‘sistema’ per il momento attrae e genera profitti, investiti soprattutto nel settore immobiliare: centinaia di grattacieli sono in costruzione e il
deserto vien man mano urbanizzato. Un modello di città estremamente fragile, energivoro e consumistico che, nel medio-lungo periodo, non sarà più sostenibile.
Non resta che sperare che i contenuti di Expo Dubai non restino soltanto un effetto vetrina per i ricchi Emirati ma che abbiano contribuito ad avviare una profonda riflessione a livello urbanistico e governativo sul futuro della città.
Connettere le menti per creare il futuro
<<Gli Expo sono fiere delle vanità dove predomina il cattivo gusto e il kitsch>>, scrive L. Prestinenza Puglisi su IoArch, salvo poi precisare: <<per la paradossale follia che caratterizza i comportamenti umani, sono proprio tali presupposti che rendono gli Expo così interessanti>>…
In una superficie così vasta e caotica, come un gigantesco luna-park, è importante non perdersi. La visita media dura un giorno e le attrazioni sono tantissime; in genere si tende a non perdersi il padiglione del paese organizzatore, poi il padiglione del proprio paese e poi quelli più gettonati dalla stampa di settore. Inevitabile incappare in file di attesa che durano anche più di un’ora. A Dubai l’afflusso medio è stato di circa 140.000 visitatori al giorno con punte raddoppiate nei fine settimana. Personalmente, vi ho dedicato due giorni e ho visto meno di un terzo… Segue quindi una panoramica su quanto osservato da vicino. Entreremo dalle eleganti porte in fibra di carbonio, sosteremo sotto l’ampia cupola centrale, visiteremo i 3 padiglioni tematici e finiremo con una selezione dei padiglioni nazionali meritevolmente ‘sostenibili’. A lato del titolo è riportato il progettista; tra le parentesi finali il mio giudizio di gradimento (da 6 a 10).
ENTRY PORTALS (le tre porte)
Asif Khan
All’area Expo si accede da 3 grandi porte alte 21 metri realizzate in fibra di carbonio, elegantissime nel richiamo al tradizionale disegno delle mashrabiya. La struttura, del tutto priva di calcestruzzo e di acciaio, incarna il senso della leggerezza, è sperimentale ed è stata ampiamente testata dal vento del deserto. La trama delle fibre genera piacevole ombra. Il sistema illuminotecnico è calibrato, lineare dal basso, caldo, sobrio. La forma è archetipa; forse è stata l’architettura più essenziale e iconica dell’Expo. Ogni mattina alle 9 la cerimonia di apertura delle porte. (10)
AL WASL DOME (la cupola)
Adrian Smith + Gordon Gill Architecture
La cupola ha un diametro di 130 metri e un’altezza di 67; in totale 724.000 mc. È un’architettura poderosa e al tempo stesso leggera grazie all’intreccio dei tubolari in acciaio, al disegno traforato arabeggiante e ai teli in teflon microforato. È visibile da ogni punto dell’area. Di giorno offre ombra con innesco di ventilazione naturale. Dall’imbrunire viene usata per spettacoli di luci col supporto di 252 mega-proiettori HD e altrettanti speaker per gli effetti sonori; è oggi la più grande superficie di proiezione multimediale sferica al mondo. Assolve alla funzione di luogo centrale; da qui partono a raggiera i tre “petali”, i quartieri dedicati ai tre temi portanti dell’edizione di Expo-Dubai: Sostenibilità, Mobilità e Opportunità. Un’architettura pertanto ‘indispensabile’. (9)
TERRA, THE SUSTAINABILITY PAVILION
Grimshaw
Con la sua grande copertura fotovoltaica a sbalzo copre un’area di 17.000 mq. È una sorta di ecosistema autonomo a consumo zero; produce l’elettricità che serve, raccoglie condensa, offre frescura. La colonna centrale vuota funge da camino di ventilazione che aspira l’aria calda a bassa quota e innesca un efficace sistema naturale di ventilazione; un vero vortice -sperimentato con piacere in sito- che invia aria fresca anche ai piani espositivi. Essendo in buona parte seminterrato, utilizza le proprietà isolanti del terreno per proteggersi dalle eccessive temperature esterne, fino a 50° nei mesi più caldi. Le superfici fuori terra sono protette con massa termica costituita da interessanti gabion walls riempiti con schegge di pietra locale. Non
sarà smontato, diventerà un museo con annesso centro scientifico aperto al pubblico. Impattante comunque il vasto uso delle strutture in acciaio a vista. Certificato LEED Platinum. (8)
ALIF, THE MOBILITY PAVILION
Foster + Partners
È costituito da una serie di costole curvilinee orizzontali in acciaio inox, generate da una pianta a trifoglio, con 3 centri che generano assi obliqui; porta il nome della prima lettera dell’alfabeto arabo. Elegante ed efficace il sistema di ombreggiatura progressiva delle facciate: le costole sono tra loro sempre più aggettanti fino a formare forme absidali; i vetri degli infissi non vengono mai irraggiati dal sole. Un’architettura aerodinamica ma poco contestualizzata, manieristica forse. Il padiglione copre un’area di 11.683 mq. ed è stato concepito per essere trasformato in uffici; non sarà quindi smontato. (8)
MISSION POSSIBLE, THE OPPORTUNITY PAVILION
AGi Architects
Il riferimento è la piazza urbana, ampia, sobria, ombreggiata, pavimentata in cotto; molto frequentata, a dimostrazione che le persone sono alla ricerca di questi spazi anche nei climi più caldi; basta saperli pensare (e realizzare). Oltre 15.000 mq con l’idea che l’azione del singolo individuo possa avere un impatto su scala globale, essendo in grado di partecipare ad azioni collettive. Piacevole la frescura nei momenti di attraversamento e di sosta grazie alla grande copertura tessile a 32 metri di altezza. Anche qui si è scelto l’incasso nel terreno per smorzare l’onda di calore e per favorire l’innesco della ventilazione naturale. Interessante, inoltre, il sistema di parete ventilata (Flexbrick) costituita da una velatura di pianelle di cotto prodotte utilizzando solo biogas per la cottura. Comunica un’idea di funzionalità senza esasperazioni formali. (10)
I PADIGLIONI NAZIONALI, selezione bioclimatica
I padiglioni sono costruzioni temporanee che hanno l’obiettivo di attirare il visitatore e stupirlo con effetti speciali, possibilmente multimediali e interattivi, per poi farlo uscire lasciandogli almeno un gadget o un messaggio; l’architettura passa in secondo piano; contano i giochi di luce, la narrazione e la capacità espositiva. Il successo si misura dalla lunghezza delle file che si formano agli ingressi, a Dubai purtroppo sotto il sole cocente. Grave per molti progettisti non aver pensato a sistemi di ombreggiatura proprio lì dove era prevedibile si formassero le file… un esempio per tutti? il padiglione italiano.
UCRAINA/RUSSIA
Tra i primi padiglioni che cerchiamo vi è quello dell’Ucraina; e non siamo i soli, le pareti interne sono tappezzate da decine di migliaia di foglietti colorati lasciati dai visitatori; sono messaggi di solidarietà alla popolazione e di condanna per la guerra in corso. Alcuni messaggi sono scritti dai tanti visitatori russi che a Dubai vanno tuttora sia per turismo che per investimenti immobiliari. Al Padiglione della RUSSIA invece, una doppia cupola che ricorda le matrioske e le avanguardie russe, si respira un boicottaggio corale, pochissimi e contrariati i visitatori.
AUSTRIA
Querkraft Architekten
Una serie di semplici volumi troncoconici tra loro interconnessi che generano alternanze interne/esterne connotate da aria e luce naturale. Efficace, in ogni cono, l’effetto camino che genera raffrescamento naturale mediante l’espulsione dell’aria calda dal basso verso l’alto favorita dall’elevato gradiente termico generato dalle diverse altezze. Piacevole al tatto l’intonaco interno in terra cruda, richiamo alla tradizione e ai colori nordafricani e medio-orientali e col ruolo regolatore del contenuto d’umidità (poroso e permeabile) delle superfici. Rilassante la sosta sulle panche all’interno del padiglione che, a differenza di tanti altri, vede la presenza di alberature ed arbusti. Vi è quindi un giusto mix di materiali tradizionali e tecniche costruttive avanzate che fanno riconoscere l’Austria come riferimento internazionale nell’uso equilibrato
delle risorse e dell’energia nel rispetto dell’ambiente e del clima. I coni sono formati da strutture prefabbricate e pertanto sono smontabili e riutilizzabili (design for deconstruction). La ripresa di un principio costruttivo locale associato all’innovazione bioclimatica ha permesso -con superfici (1.300 mq.) e costi contenuti- il raggiungimento di elevate condizioni di comfort abitativo eliminando ogni altro sistema di climatizzazione elettrica dell’aria; una sfida riuscita nell’ambito del clima desertico. Sono stati evitati sbancamenti, volumi interrati e piani sopraelevati; si visita pertanto su unico piano, senza scale e ascensori. (10)
OLANDA
V8 Architects
Il padiglione olandese ha efficacemente comunicato ai visitatori i temi dell’acqua, dell’energia e del cibo, ricercando la sostenibilità attraverso nuove tecnologie per estrarre acqua dall’aria, produrre energia dal sole e coltivare cibo all’interno dell’edificio. Fenomeni naturali come la fotosintesi, la condensazione e l’escursione climatica sono stati ingegnerizzati, affidando all’architettura la comunicazione del messaggio. Un esempio concreto di sostenibilità e circolarità, rafforzata dall’utilizzo di materiali industriali presi in prestito da aziende locali (saranno quindi restituiti): tubi e palancole in acciaio grezzo; quest’ultime sono state utilizzate sia per le balaustre in foglio singolo che per le pareti perimetrali e il solaio di copertura con foglio doppio, quindi a sandwich, e con interposta sabbia proveniente dallo scavo del terreno (massa termica); lo scavo è stato comunque effettuato per ricavare il piano espositivo interrato ma sarà riempito con la stessa sabbia quando il padiglione sarà disassemblato. Evitati quindi il cemento, materiale con elevata energia incorporata, ed abbattuti tutti i costi di trasporto. In sostanza, un padiglione a km zero e facilmente smontabile, con un’impronta ambientale minima. Pensato per comunicare ‘principi’ aderenti al tema della sostenibilità e non per stupire secondo le ricorrenti forme delle archi-star… I materiali sono stati lasciati grezzi, senza vernici e plastiche ornamentali. A terra, grigliati in pvc riciclabile con ghiaia riutilizzabile; scomodo, comunque, per i portatori di handicap. Si accede scendendo attraverso una rampa a più bracci, poi in piano. L’elettricità prodotta dai pannelli fotovoltaici in copertura contribuisce ad estrarre acqua dall’aria calda del deserto (800 litri al giorno secondo il brevetto olandese SunGlacier in anteprima all’Expo); l’acqua ricavata, viene utilizzata per coltivare oltre novemila piante ed erbe commestibili come basilico, menta, asparagi, e funghi che abitano la superficie del grande cono verde, detto ‘biotope’, fulcro del padiglione. Meritatamente, il padiglione olandese ha quindi vinto il “Sustainable Construction Project of the Year Award”. (10)
MAROCCO
Oualalou + Choi
Sicuramente tra i padiglioni più interessanti dal punto di vista dell’uso del linguaggio architettonico locale, e tra quelli più estesi (6.057 mq.); la conferma che i tradizionali sistemi costruttivi, in questo caso del Marocco basato sull’uso della terra cruda, rappresentano una guida valida anche per l’architettura contemporanea. Una pluralità di strategie passive di controllo climatico: terra cruda, tetti-giardini, grate in legno, patio centrale, favoriscono la vivibilità dell’edificio nel clima desertico riducendo, grazie ad ombra e ventilazione naturale, la climatizzazione artificiale e i consumi energetici. L’architettura è basata sull’utilizzo della terra cruda (materiale naturale e a basso costo) con un’innovativa soluzione di pannelli prefabbricati agganciati ad una sottostruttura in c.a. Al centro dell’edificio, alto ben 34 metri, vi è un’ampia, ariosa e panoramica corte interna che, grazie ad una rampa perimetrale, offre viste sull’Expo sfiorando i vari giardini pensili. Le facciate interne sono protette e connotate da grate di legno massiccio che costituiscono filtri di protezione contro l’eccessivo irraggiamento solare. Si accede salendo con un elevatore, poi si scende con la lunga rampa che serve i vari piani. Il padiglione del Marocco si presenta quindi anche come esempio di sostenibilità: dall’uso della terra cruda, materiale naturale in grado di favorire strategie passive di controllo climatico, alla prospettiva di un ciclo di vita che andrà bel oltre i sei mesi di Expo; difatti è uno dei pochi padiglioni nazionali che non saranno smontati: verrà riutilizzato come edificio residenziale. Certificato secondo lo standard LEED Gold. (10)
ITALIA
Carlo Ratti Associati – Italo Rota Building Office – F&M Ingegneria – Matteo Gatto & Associati
La copertura è composta dalla forma di tre scafi rovesciati, uno verde, uno bianco e uno rosso; rimando ad una tradizione marinara italiana ma finita per richiamare invece la tragedia di barche capovolte dei migranti. Le facciate sono costituite da una fitta serie di corde di plastica riciclata che rendono l’idea di una tenda. Gli interni sono stati lavorati a più mani dando luogo ad una narrazione affannosa: bucce d’arancia, fondi di caffè, microalghe nei colori nazionali, testa di David, giochi di ebanisteria, vasi di porcellana, sequenza di Fibonacci. Nonostante la vasta copertura in lamiera (4.900 mq.) e l’assenza di pareti perimetrali, l’interno è alquanto vivibile e raffrescato. Meritevole la proiezione multimediale (borghi e paesaggi italiani) sulla lunga parete della rampa di uscita. Copertura non riutilizzabile, dubbio sul riciclo delle corde di plastica. Si visita salendo una scala interna ad una finta duna in resina e poi si scende con lunga rampa interna. Tra i padiglioni più visitati ma con lunga fila sotto il sole. (6)
SPAGNA
Amann-Canovas-Maruri
Si individua facilmente per una serie di tronchi di cono fatti con geo-tessuti colorati: il tema è lo stesso dell’Austria: recuperare la cultura islamica delle torri di ventilazione come sistemi naturali di climatizzazione; l’aria che fuoriesce in alto riesce a produrre un abbattimento di temperatura fino a 10° alla base; si percepisce così una sensazione di raffrescamento dovuto all’innesco della ventilazione lungo i coni-camini. Altro tema è lo ‘scavo’ nella sabbia, che dà luogo ad un vasto ambiente ipogeo riparato naturalmente dall’irradiazione solare. Sono stati scelti materiali riciclabili e riutilizzabili: legno, ferro e tessuto. Circa 6.000 mq. l’area occupata. Si accede in piano, poi si scende alla sala multimediale ipogea attraverso una lunga suggestiva rampa elicoidale. (7)
SVEZIA
Alessandro Ripellino Arkitekter, Studio Adrien Gardère, Luigi Pardo Architetti
L’iconicità della foresta nord-europea come eco-sistema sostenibile in assenza di emissioni CO2; il padiglione ha un’estensione di 2.300 mq. ed è formato da 292 tronchi di abete rosso, l’essenza più utilizzata in Svezia, e con volumi funzionali sospesi in alto, come case sugli alberi. Energeticamente autosufficiente con sistema fotovoltaico in copertura; anche le fondazioni sono in legno (cross-lam). Una volta smontato sarà rimontato per essere riutilizzato in Svezia. Ogni albero tagliato è stato ripiantato con più alberi (in Svezia). Si accede e si visita prevalentemente in piano. (8)
INGHILTERRA
Es Devlin
Tra i padiglioni più contenuti (1.300 mq.), ideato dalla scenografa inglese Es Devlin, il padiglione inglese è come un imponente strumento musicale in legno lamellare dalla forma conica con una facciata che replica messaggi luminosi sia all’interno che all’esterno. Il pubblico interagisce scrivendo all’ingresso una parola su un tablet; un algoritmo, ad apprendimento automatico avanzato, compone una frase utilizzando le parole contestualmente immesse; la frase viene proiettata sulla facciata interna e su quella esterna. Per quanto poetico, senza leggere una guida, il funzionamento non è facilmente comprensibile. Si accede salendo una rampa a più bracci, protetta da efficaci teli ombreggianti, poi in piano. (8)
EMIRATI ARABI
Calatrava
Sicuramente il più esteso (20.900 mq.), il più appariscente, il più costoso e quindi il più ambito per i visitatori (file fino a due ore), il padiglione del paese ospitante è ispirato alle ali del falco, l’uccello simbolo nazionale degli Emirati Arabi Uniti. Suggestive e scenografiche le 28 grandi ali mobili che regolano la luce incidente sui pannelli fotovoltaici di copertura grazie a un’ingegneria unica e sofisticata; nei due giorni di visita però le ali non si sono mai azionate… E’ certificato Leed Platinum ed è conforme al Dubai Green Building Regulations and
Specifications (DGBR). Sarà riconvertito in centro visite e museo. Si accede alla grande sala seminterrata attraverso una lunga rampa esterna tra specchi d’acqua e alberature, poi salendo si accede alla sala multimediale, quest’ultima capace di sollevarsi di un piano durante il breve spettacolo. (7)
ARABIA SAUDITA
Boris Micka Associates
Per estensione è il secondo più grande dopo quello degli Emirati Arabi, ben 13.069 mq. Per visitatori il numero uno a Dubai Expo: ben 5 mln. di visitatori. Probabilmente dovuto anche al sistema di gestione dell’accesso, con fila lunghissima ma scorrevole, senza formazione di scaglioni contingentati, quindi fluida e, soprattutto, all’ombra, protetta dal grande aggetto specchiato del padiglione. Una vera sorpresa l’interno strutturato su mega-proiezioni led ad alta definizione che mostravano paesaggi e tradizioni locali; le medesime scene erano offerte in una pluralità di visioni: dall’alto, affacciandosi su un enorme pozzo centrale, difronte guardando le pareti in video-wall, finanche sulla facciata d’ingresso. Musica ‘a palla’, zero architettura ma insuperata capacità di raccontare bene e quindi di ‘colpire’ il visitatore. Solo in questo caso, il massimo punteggio va alla funzionalità e non alla sostenibilità del padiglione. (10)
BAHRAIN
Christian Kerez
Il Bahrain è un piccolo stato che però è tra i più grandi produttori di alluminio lavorato al mondo. Il padiglione è quindi interamente foderato in alluminio naturale; lo spazio interno (2.500 mq.) è segnato da un’intricata foresta composta da 126 esili tubi strutturali che si uniscono in più punti fino a bucare l’involucro cubico e fuoriuscire dalle facciate. Alla fine di Expo il padiglione verrà ricostruito a Manama, il centro d’affari del Regno del Bahrain, per perseguire lo spirito di sostenibilità con il quale è stato concepito. Si accede scendendo attraverso un breve tunnel, poi in piano. (7)
Cosa rimane di questa Expo?
Siamo sicuramente confortati dall’esperienza condotta in loco, avendo potuto constatare di persona sia la qualità di vita urbana che l’Expo e i padiglioni citati; alcune soluzioni sono affascinanti e il lavoro, a tratti meticoloso, condotto da alcuni gruppi di progettazione, offrono speranze e indicano direzioni. Aldilà degli esempi finora descritti, ci saremmo aspettati una citazione, una foto, un video multimediale dedicato, invece: nulla! Nemmeno un accenno; a cosa? Ad esempio, alle ‘malqaf’, alle torri del vento che nei secoli passati hanno connotato funzionalmente ed iconicamente l’architettura mediorientale. Nessun padiglione ne è stato interessato. Ce n’erano numerose testimonianze perfino a Dubai, sulle sponde del Creek prima che decidessero di demolirle per far posto a nuovo cemento armato; sì, qualcosa ne è rimasto e stanno anche recuperando/ricostruendo ma in chiave turistica e con al disotto un parcheggio multipiano…
Cosa ci si aspetta da un’Expo come Dubai? Forse la capacità di produrre nuove idee, visioni e ricerche proprio nel campo della sostenibilità ambientale; l’innovazione dovrebbe riguardare la possibilità di stabilire nuove relazioni tra paesi e persone diverse, condividendo ad esempio le buone pratiche di resilienza in habitat difficili. È sicuramente positivo tornare in studio con un arricchimento culturale e professionale avendo potuto indagare e curiosare sui limiti e sulle prospettive della nostra civiltà. L’impegno, da condividere con i lettori di Bioarchitettura, è avvicinare il pubblico alle nostre tematiche, mettendo al centro la sostenibilità dell’abitare, la conoscenza e il rispetto dell’ambiente nel quale viviamo. Bisogna porre un limite alla fiera delle vanità della nostra civiltà: consumare meno risorse, frenare il consumo edilizio e l’inquinamento che ne deriva.
Fonti:
Arketipo n°152 2021, Expo Dubai 2020, special issue, P. Favole, M. Ruta, AA.VV.
IoArch, anno 16, marzo 2022, reportage di L. Prestinenza Puglisi
https://www.domusweb.it/it/architettura/gallery/2021/10/13/expo-2020-dubai-in-6-padiglioni.amp.html
https://www.touringclub.it/notizie-di-viaggio/expo-dubai-2020-i-padiglioni-da-non-perdere/immagine/9/il-padiglione-dell-arabia-saudita-foto-shutterstock
https://www.qualenergia.it/articoli/emirati-arabi-paradosso-energetico-pesa-sul-futuro/
https://www.boscodiogigia.it/ambiente/dubai-aria-condizionata-non-ci-salvera-citta-sostenibile
https://www.qualenergia.it/articoli/20111229-una-nuova-vita-quotidiana-visioni-dal-futuro-butera/
https://www.internazionale.it/opinione/rafia-zakaria/2021/02/13/amp/dubai-lato-oscuro
https://mo5talfoon.com/it/how-burj-khalifa-wastewater-is-transported-out-of-the-city/
http://greenreport.it/web/archivio/show/id/17726
http://www.rivistamissioniconsolata.it/2012/01/01/paradiso-artificiale/
La redazione dell’articolo sulla visita dell’Expo a Dubai è stato preceduto, in data 4 aprile 2022, da una conversazione / webinar su Radio Radicalea a cura di Giuseppe Di Leo.
https://www.radioradicale.it/scheda/664821/il-mondo-prossimo-futuro-scenari-da-expo-dubai-2022